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Sino a pochi decenni fa nelle paludi della Valle del Mincio era pratica comune l'allagamento artificiale dei canneti e dei cariceti mediante arginature e sfruttando i dislivelli naturali dei fossati; in questo modo i raccoglitori di canne e carice ottenevano un prodotto più rigoglioso e redditizio.
Si pensi che una vasta zona nei pressi di Rivalta che non poteva essere servita tramite questi dislivelli, veniva addirittura allagata per mezzo di una turbina elettrica.
Almeno 300 ettari di palude erano regolarmente allagati ogni primavera, mentre ora questa tecnica viene utilizzata su un tratto di circa 70 ettari.
Senza rendersene conto, chi ha attuato questi sistemi ha anche contribuito a migliorare la qualità delle acque, fitodepurandole.

La fitodepurazione (letteralmente "depurazione delle acque per mezzo delle piante") è caratterizzata da trattamenti di tipo biologico nei quali le piante, che si sviluppano in terreni saturi d'acqua, hanno un ruolo chiave nella depurazione degli scarichi inquinati per azione diretta dei batteri che colonizzano gli apparati radicali e/o rizomatosi.

Questo meccanismo di depurazione non è altro che la riproposizione del modo che la natura ha escogitato per riutilizzare, senza alcuna alterazione del sistema ecologico, i residui biologici del regno animale attraverso i servigi del regno vegetale.

Da una nostra ricerca, la prima esperienza di questo tipo risale al 1952, anno in cui Seidel iniziò una serie di sperimentazioni al Max Planck Institute di Plon (Seidel 1955). Ci sono voluti circa venti anni di studi per arrivare, nel 1977, al primo impianto di fitodepurazione in scala reale, costruito a Othfresen, in Germania, per il trattamento dei reflui urbani (Kickuth 1977).

Distribuzione impianti di fitodepurazione in EuropaAttualmente esistono in Europa circa 5600 impianti di varie tipologie, la cui diffusione è visualizzata nel grafico a lato.

Negli Stati Uniti questa tecnica è molto più diffusa, con la presenza di circa 10.000 impianti.
In Italia sino alla fine del 1999 non sono censiti più di 35-40 impianti di fitodepurazione, con meccanismi di abbattimento degli inquinanti che riproducono esattamente tutti i fattori in gioco nel potere autodepurativo delle zone umide. Di fronte agli enormi costi di gestione dei tradizionali impianti di depurazione, che presentano spesso difetti di funzionamento, è oramai assodato che le tecniche di fitodepurazione, ove è possibile installarle, sono assolutamente più economiche e affidabili.

La diminuzione dei livelli delle acque nelle Valli del Mincio e l'abbandono quasi totale dei sistemi di allagamento artificiale, hanno ridotto considerevolmente la capacità di depurazione della palude, mentre d'altra parte sono aumentati drasticamente gli apporti inquinanti, soprattutto da parte degli scarichi civili e agricoli.
I Laghi di Mantova sono in uno stato pietoso, se si considera la qualità delle acque; ancora prima dell'istituzione del Parco del Mincio (1984) e con maggior insistenza dopo, molti amministratori hanno lanciato proclami per migliorarne la qualità. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, a patto che li si voglia vedere: se da una parte sono state abbellite le sponde, costruite ciclabili per facilitare l'accesso a queste bellissime zone, dall'altra non si è fatto quasi nulla per migliorare la qualità delle acque, costruendo una bella cornice per un contenitore che si sta svuotando sempre più rapidamente di valenze ambientali.

Di campagne di studio al capezzale di questo malato grave si è oramai perso il conto e tuttora continuano ad accavallarsi; speriamo che in futuro portino ad un qualche risultato più concreto. Sembra però che nessuno abbia mai pensato di ripristinare, con le semplici tecniche della fitodepurazione, quella che la natura, ha sempre egregiamente fatto.
Ripristinando adeguati livelli di allagamento nei canneti e cariceti, utilizzando acqua che in ogni caso transita, pure se inquinata, nel fiume e quindi nei laghi si potrà ridurre notevolmente il carico di eutrofizzazione.

Un grosso problema, inoltre, è il graduale interrimento della palude con conseguente trasformazione in terreno agricolo (una grossa opportunità per i proprietari che vedono nel giro di 5-6 anni al massimo aumentare di almeno 15-20 volte il valore della proprietà); allagando tali zone se ne impedirebbe perlomeno l'autobonifica.
Infine, sui piccoli arginelli di contenimento, in gran parte ancora esistenti, si potrebbero sistemare delle ciclo pedonali, arricchendo quelle già esistenti e favorendo il turismo minore, opportunità di sviluppo e vera vocazione delle nostre zone.

Il tutto potrebbe essere ricostruito con modica spesa, considerando che un tempo si arginavano le acque con zappe e badili e ancora esistono tracce degli sbarramenti precedenti; occorre però sbrigarsi poiché chi ha lavorato in passato a queste opere e sa bene in quali punti andrebbero ricostruite, sta purtroppo invecchiando; si eviterebbero studi di fattibilità probabilmente inutili e dispendiosi.

Per le Valli del Mincio i meccanismi di fitodepurazione possono essere classificati come sistemi a flusso superficiale con macrofite radicate emergenti e galleggianti.

Flusso superficiale

Nelle altre zone in cui hanno realizzato impianti di fitodepurazione, sono costretti a far crescere in serra piante come Phragmites australis (la comunissima canna palustre) e Lemna minor mentre nelle nostre paludi sono molto abbondanti, con in più tutta la grande varietà delle altre specie vegetali che sarebbe oltremodo costoso riprodurre artificialmente.

A titolo di esempio ricordiamo che è in via di realizzazione a Jesi un sistema di post-trattamento mediante tecniche di depurazione naturale dell'intera portata dell'effluente dell'impianto di depurazione consortile del comune, della dimensione di circa sei ettari con una capacità stimata di depurazione pari a circa 60.000 abitanti equivalenti. È l'impianto attualmente più grande in Italia e ha ricevuto un finanziamento di alcuni miliardi di lire...

 

Carta ambientaleNel nostro Comune di Rodigo, accanto all'abitato di Rivalta sul Mincio, la Valle Ariello (ampia almeno 25 ettari - vedi l'area B dell'immagine a destra) si presterebbe egregiamente ad essere nuovamente allagata utilizzando, come un tempo, le acque ora assai inquinate del canale Caldone, che in ogni caso sfocia poco a monte di Rivalta.Attualmente, il vecchio depuratore del paese ha solo funzione di raccolta di gran parte dei reflui dell'abitato (il cui sistema fognario non prevede una divisione fra acque bianche e nere) e successivo pompaggio all'altro depuratore posto più a valle.

In caso di pioggia abbondante, viene sistematicamente superata la capacità di depurazione e si ottiene uno stravaso diretto nel fiume. A nostro parere, questo problema potrebbe essere risolto con un sifone non più lungo di 30 metri con cui convogliare le acque in esubero verso la zona di fitodepurazione; quest'ultima risulterebbe, in quanto a dimensioni, grande quattro volte quella di Jesi, con un carico di soli 3.000 abitanti e con dei costi sicuramente inferiori.

Sfruttando gli argini sul margine della Valle Ariello, una ciclopedonale toglierebbe dall'isolamento il Centro Parco di Rivalta, attualmente poco frequentato anche a causa di tali motivi.

 

A nostro avviso lasciare perdere tale opportunità rappresenta una colpevole omissione; in tale progetto il Gruppo Amici del Mincio ravvisa solo aspetti positivi per l'ambiente e la comunità rivierasca in genere.

Mediante la pubblicazione su questo sito vogliamo dare il massimo risalto a questo progetto con la speranza di un suo sviluppo non solo nella Valle Ariello, ma anche nelle altre zone un tempo allagate.

 

Scarica la carta ambientale visibile qui sopra (progetto fitodepurazione con cliclabili):

 

Sitografia

Ecco una ricca selezione di siti internet in cui trovare ulteriori informazioni sul tema della fitodepurazione:



 

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